Una domenica, Fabio Geda
Dall’incontro del 12 novembre 2020
Un piccolo incidente domestico cambia il corso degli eventi, siamo a Torino, in una grande casa familiare situata in Lungo Po Antonelli, l’autore dipinge bene l’atmosfera di quella porzione di città in cui colloca quasi tutti gli avvenimenti importanti che coinvolgono i membri della famiglia di cui fa parte la voce narrante, Giulia. Dal capezzale del padre Ernesto, Giulia si guarda indietro e racconta le vicende della propria famiglia ripercorrendone i momenti più importanti, quelli semplici, che hanno dato vita a legami profondi, attimi di gioia, momenti felici ma anche incomprensioni e piccoli attriti che possono, se non affrontati, procurare ferite quasi insanabili. Il padre ingegnere, dopo una vita a costruire ponti, affronta lo smarrimento della fase post lavorativa, con i dubbi e i pensieri che lo accompagnano e a tratti lo inseguono, con un bagaglio di cose dette e non dette, di nostalgie e ricordi che affiorano nei momenti di solitudine. Il romanzo, scritto con stile sobrio, cortese, chiaro e delicato, si può definire un viaggio nella quotidianità in cui ognuno di noi può immergersi e riconoscersi. L’incontro imprevisto tra il padre di Giulia e la giovane Elena, madre di Gaston, consente all’autore di aprire una porta da cui permette di sbirciare nella vita altrui, anche solo per una giornata, una strana domenica, in cui Ernesto ritorna a gustare un momento di intimità familiare grazie a persone quasi sconosciute.
I personaggi del romanzo sono ben delineati, con ruoli ben riconoscibili e definiti attraverso i quali Geda indaga il rapporto genitori/figli con lo sguardo delicato e originale che gli è proprio, senza rivelare troppo dei loro caratteri, delle loro debolezze, rendendoli così più veri, con i loro comportamenti a volte inspiegabili e un modo di amare imperfetto, normale.
La narrazione, l’uso delle parole o il loro “non uso” danno la cifra del rapporto tra Giulia e suo padre, i silenzi a volte pesano… ma ecco che l’autore dà a lei il compito di trovare una soluzione per superare il conflitto, un punto di contatto con il padre che, ora, sta per lasciarla; lei che della parola ha colto il segreto nascosto e ne ha educato l’aspetto artistico, facendolo diventare la sua scelta di vita, ha l’incarico di riannodare il filo del discorso, di trovare la parola giusta per costruire quel ponte e riconciliarsi con l’amato padre, molto pragmatico ma poco empatico.
Un romanzo da gustare, dolce e poetico che sa dare messaggi positivi e che lascia al lettore lo spazio per attingere ai propri ricordi, al proprio vissuto, con un finale forse un po’ troppo addolcito ma sicuramente aperto a molte interpretazioni. Un mondo intimo nel quale è ancora possibile “riparare” le crepe familiari risalendo alle origini del problema, seguitando, in un gioco infinito, a costruire ponti.